Urban Folklore

The quartet of Thomas Marriott in question is a beautiful synthesis of American jazz: Marriott Seattle, Eric Revis Californian, Orrin Evans heir to the school of Philadelphia, finally Donald Edwards from New Orleans. But the sources do not affect that much an ecumenical music, which lives on technical brilliance, on an "esperanto" if little jazz has to say again, confirms a wisdom and a listening pleasure beyond doubt.

Thomas Marriott lived a decade in New York, absorbing a mastery of his instrument that brings him closer to the hard bop school history but that does not prevent him to investigating some more open forms. His compositions want to externalize a feeling, a situation (the birth of his daughter, one existential spleen, a friendship dedication...) and you appreciate them for their improvisational development sequences rather than their thematic skeletons, in truth a bit weak. "Apophis" and "The Tale of Debauchery" travel between narratives of modern funk and swing, with traces of Coltrane-ism due mostly to a certain parentage of pianism of Orrin Evans from McCoy Tyner.

An emotion comes from "Room 547," most wanted episode, evoking Miles before Revis offers his sumptuous sound and Evans also emerges as an original, intelligent pianist. The rest of the album relies on riffs and rather simple themes, with the exception of "Living on the Minimum," built on a blues-flavored "turnaround", with intense exchanges of the rhythm section and well executed solos. The virtue of the quartet lies in the ability of the individuals to intuitively grasp the evolution of each other, to interact with speed and gusto, never to yield to the desire to excel. Merit Marriott for this, especially as a leader.

Original text:

Il quartetto di Thomas Marriott in questione rappresenta una bella sintesi del jazz americano: Marriott da Seattle, Eric Revis californiano, Orrin Evans erede della scuola di Philadelphia, infine Donald Edwards da New Orleans. Ma le origini non condizionano più di tanto una musica ecumenica, che vive sulla brillantezza tecnica, su un "esperanto" jazzistico che, se poco ha da dire di nuovo, conferma una saggezza di pensiero e una piacevolezza d'ascolto indubitabili.

Thomas Marriott ha vissuto un decennio a New York, assorbendo una padronanza del suo strumento che lo avvicina alla scuola hard bop storica ma che non gli impedisce di indagare qualche forma più aperta. Le sue composizioni vogliono esternare un sentimento, una situazione (la nascita della figlia, uno spleen esistenziale, una dedica amicale..) e si apprezzano per le sequenze di sviluppo improvvisativo più che per gli scheletri tematici, in verità un po' deboli. "Apophis" e "The Tale of Debauchery" viaggiano tra narrazioni di swing moderno e un funk un po' risaputo, con tracce di coltranismi dovuti più che altro a certa filiazione del pianismo di Orrin Evans da quello di McCoy Tyner.

Un'emozione arriva da "Room 547," l'episodio più ricercato, che evoca Miles prima che Revis offra il suo suono sontuoso e Evans emerga anche come pianista originale, intelligente. Il resto dell'album si affida a riff e temi piuttosto semplici, con l'eccezione di "Living on the Minimum," costruita su un "turnaround" di sapore blues, con intensi scambi della sezione ritmica e interventi solistici di ottima fattura. La virtù del quartetto risiede nella capacità dei singoli di captare intuitivamente le evoluzioni di ciascuno, di interagire con velocità e gusto, di non cedere mai alla voglia di primeggiare. Merito di Marriott questo, specie in qualità di leader.